Editore per tradizione, poeta per vocazione. Intervista ad Angelo Manitta
Angelo Manitta

Il curriculum di Angelo Manitta, anche in versione ridotta, occuperebbe uno spazio così ampio che, sinceramente, preferisco dedicare alle sue risposte in un’intervista molto interessante per chi frequenta “giardini culturali”.

È infatti un intellettuale a trecentosessanta gradi con profonde radici nella letteratura classica e un “fogliame” di scritti che vanno dalla saggistica, alla poesia e al romanzo; il tutto suffragato da interessi storici che ne rendono il sostrato di particolare interesse. Editore, è inoltre direttore della rivista “Il Convivio” (inserita tra le riviste scientifiche ANVUR dell’area 10), con più di vent’anni di vita; direttore e capo redattore della rivista accademica “Letteratura e Pensiero”; curatore per 10 anni (2008-2017) della rivista scientifica “Cultura e prospettive”. 

Come poeta ha pubblicato la colossale opera “Big bang. Canto del villaggio globale” (2018) un poema in 12 libri e 108 canti con la prefazione di Ugo Piscopo, particolarmente apprezzata da Giorgio Barberi Squarotti.

Per la dolcezza dei suoi versi e la forza dei contenuti sono stata molto colpita dalle figure femminili dipinte nei canti “La ragazza di Mizpa” e “Tamar” anche se le eroine Berenice e la regina di Saba sono altrettanto vivaci nel presentarsi all’onor… del poema: sono così particolari da essere state tutte tradotte in rumeno, sloveno, greco moderno, francese, spagnolo, portoghese, inglese.

Come saggista la sua opera “Dante e la botanica della selva oscura. Piante arboree nella Commedia”, pubblicata nel 2022, è un tributo che lascia alla posterità come sua testimonianza di devozione al Sommo Poeta.

Sempre in ambito saggistico di grande rilevanza sono i miti e le leggende della sua terra, una Sicilia rigogliosa e testimone di tradizioni antichissime.

È inoltre fondatore del Premio Internazionale Poesia, Prosa e Arti figurative Il Convivio giunto alla XXIIIima edizione.

Tra i vari premi ricevuti, gli è stato assegnato il primo premio “I Murazzi” per la poesia” nel 2018, il terzo premio per la saggistica nel 2022 e nello stesso anno il Premio della Presidenza al “Premio Minturnae”.

 

 

Famiglia di editori: ha mai pensato di cambiare professione?

Certamente no. Sono contento per quello che ho fatto e non cambierei nulla, anche perché l’editoria, alla quale sono arrivato tardi, mi ha dato enormi soddisfazioni. La collaborazione in ogni caso è stata fondamentale. In oltre 20 anni sono stati pubblicati quasi duemila titoli, e abbiamo gestito o gestiamo riviste come “Il Convivio” e “Letteratura e Pensiero”, che ancora curo personalmente. Comunque in realtà la mia professione principale è stato l’insegnamento, che mi ha sempre coinvolto nel rapporto umano, didattico e culturale con gli alunni, mentre la casa editrice ora viene gestita direttamente da mio figlio.

 

A quanti anni ha preso in mano il primo libro?

Avevo circa 4 anni. Allora i tempi erano diversi, soprattutto in un paese dell’Italia meridionale, dove non era facile possedere un libro. Si trattava del sussidiario dei miei fratelli. Lo guardavo con curiosità, ero affascinato dai colori e dalle figure e chiedevo cosa significassero. Quel libro m’è rimasto sempre impresso nella mente: per me era un mondo nuovo. Da allora mi si è sviluppato quell’inconscio desiderio di sapere, di conoscere. Una semplice azione è divenuta per me quotidiana curiosità, benché non sapessi allora a che cosa mi avrebbe portato in futuro.

 

Quale deve essere la caratteristica vincente di un editore, oggi?

Adeguarsi ai tempi, senza abbandonare la tradizione. A mio avviso un editore ha successo se sa scegliere e selezionare le opere da pubblicare, se sa trattare e capire le esigenze degli autori, andando loro incontro, ma soprattutto se sa servirsi di tutti i ritrovati messi a disposizione della tecnologia moderna. Accanto al libro tradizionale deve sapersi accostare al mondo digitale, benché l’uso esclusivo del digitale credo possa condurre a un vicolo cielo. Le due cose devono essere concomitanti e andare in parallelo.

È come dire che la trasposizione filmica di un romanzo non limita la lettura del romanzo stesso, ma addirittura ne potenzia la diffusione. E poi l’editore deve saper conciliare in sé l’aspetto tecnico e promozionale da una parte, ma dall’altra deve avere delle competenze letterarie nei vari settori, cioè per essere vincente deve sostanzialmente essere autore prima di essere editore.

 

Come concilia l’impegno di editore con quello dello scrittore?

Per poter conciliare i due aspetti è fondamentale la collaborazione, ed è quanto non mi è mancato e non mi manca. Per il resto è questione di organizzazione pratica e mentale: uno spazio per leggere i testi, controllare, impaginare, editare, e uno spazio per scrivere, creare e lasciare sbizzarrire la propria fantasia. Sono comunque impegni paralleli, anche se oggi sostanzialmente il mio lavoro è di molto alleggerito, in quanto la casa editrice ha assunto una sua completa autonomia.

 

Quali sono i 5 libri che non devono mancare in una biblioteca “seria”?

Non è cosa facile rispondere a tale domanda. Anche perché ogni persona ha i suoi gusti e le sue preferenze di lettura. Io tendenzialmente amo la letteratura classica, quindi nella mia biblioteca dovrebbero non mancare: la “Bibbia” (e intendo anche il Corano, che, malgrado se ne faccia spesso una guerra di religione, ho sempre considerato l’ultimo libro della Bibbia classica, e completamento di essa, avendo come soggetto lo stesso Dio). “Iliade” e “Odissea” di Omero, che sostanzialmente costituiscono un unicum; la “Commedia” di Dante.

Le opere teatrali di Shakespeare e “La ricerca del tempo perduto” di Proust, che a mio avviso, nella sua modernità ingloba poesia, letteratura e filosofia, espressione del Novecento. Gli autori contemporanei li escluderei, in quanto, malgrado tutti siano calati nel proprio tempo e nel proprio contesto sociale, non facciamo altro che con parole diverse, in lingue diverse, in contesti diversi rielaboriamo situazioni ed emozioni già espresse da coloro che ne hanno aperto la strada.

 

Quale è l’autore che a suo avviso non è stato abbastanza letto?

Degli autori italiani probabilmente Gabriele d’Annunzio, che è sottovalutato per il suo pensiero e per la vastità delle sue opere, ma anche per il suo classicismo. Ma dal mio punto di vista, ce ne sono tanti altri che meriterebbero di essere letti con maggiore attenzione, come Giacomo Casanova: che ha avuto la sfortuna di essere italiano e scrivere in francese, proprio per questo poco valutato sia in Italia che in Francia.

 

Quale è l’autore “troppo” immeritatamente letto?

Da quelli troppo immeritatamente letti, io direi di escludere quasi tutti gli autori contemporanei, in quanto per qualche decennio vengono letti da tutti, poi abbandonati a sé stessi, e magari dopo 50 anni non se li ricorda nessuno. Negli anni 50-60 la Mondadori ha pubblicato, ad esempio, moltissimi autori validi, ma oggi sono assolutamente sconosciuti. Purtroppo spesso non è la validità dell’autore a permettere un’ampia lettura, ma la pubblicità che di esso ne viene fatta.

Se oggi pare che James Patterson sia l’autore più letto al mondo con i suoi thriller, fra cento anni probabilmente saranno pochi a ricordarsene. In Italia comunque quello che mi pare troppo immeritatamente letto è forse Camilleri, che sostanzialmente riproduce sempre lo stesso schema nei suoi racconti, ma dietro c’è una forte pubblicizzazione mediatica.

 

Quale è il libro scritto da lei a cui è più affezionato e perché?

Certamente il libro cui sono maggiormente affezionato è il mio lavoro di poesia, “Canto del villaggio globale”, pubblicato nel 2018, che racchiude l’intero mio pensiero nella sua evoluzione, essendo un’opera continuamente in fieri da oltre 40 anni (attualmente ne sto preparando una seconda edizione, completamente rinnovata, che spero possa essere completa tra un paio di anni). Esso racchiude non solo il mio pensiero poetico ed emozionale, ma pure l’esperienza che mi sono fatta in altri campi, come quello della saggistica (Dante, i miti classici, periodi o eventi storici) o della narrativa.

Dante non è stato un semplice modello del mio poetare, ma è diventato oggetto di ricerca e di approfondimento critico. In particolare lo studio della botanica dantesca (piante erbacee, arboree ed agricole, attraverso le quali il Poeta propone paragoni per spiegare concetti astratti, come ho messo in evidenza nel saggio “Dante e la botanica della selva oscura. Piante arboree nella Commedia”) mi ha spesso condotto alla presa di coscienza di un modello che avvicina alla natura, come cerco anche di proporre nella mia modesta poesia, in cui tendo tante volte a confrontare l’emozionalità umana con i più svariati aspetti naturalistici.

 

Parte per la luna e può portare solo 3 cose concrete

Se fosse possibile, io porterei con me innanzitutto un CD che racchiuda tutte le opere più importanti che l’uomo abbia creato, per poterle leggere nei ritagli di tempo. In secondo luogo, escludendo cibo e aria che sono essenziali, un computer su cui poter scrivere le mie impressioni da trasmettere agli altri. Infine una pianta (una quercia, un pino o un ficus) che potesse ricordarmi il mondo terrestre.

 

Tra i vizi capitali quale per lei non è un peccato e quale è il più sgradevole, il più esecrabile?

Non è un peccato certamente la gola. Perché l’uomo che mangia smisuratamente prima o poi sta male e quindi sarà costretto al suo opposto, quindi a non mangiare, in quanto è nella natura delle cose. Il più esecrabile invece è l’accidia: il non fare, il non voler fare, il non aver fatto è la cosa peggiore per un essere umano, praticamente annulla la sua essenzialità. Non per nulla Dante, pone gli accidiosi nella palude stigia, senza alcuna personalità. Io ho sempre paragonato chi commette tale peccato a un qualcosa che non è né caldo né freddo e perciò rigettato da tutti.

 

Dove collocherebbe il “paradiso terrestre” oggi?

Oggi, date le nostre conoscenze, diventa difficile collocare il paradiso terrestre in un luogo ben preciso, dal momento in cui l’uomo ha sostanzialmente invaso ogni angolo della terra. A tal punto credo che nasca la necessità di ricrearlo di sana pianta, come ci racconta la Bibbia, in un mondo al di fuori della terra, che possa ricreare delle condizioni perfette in un equilibrio naturale, in un pianeta qualsiasi, che potrebbe anche essere Marte, o meglio un pianeta ancora più lontano e sconosciuto, dove l’equilibrio tra uomo e natura possa essere perfetto, come ho ipotizzato in un romanzetto scritto qualche decennio fa, dal titolo “Una voce dall’infinito”. Sulla terra non credo che sia più possibile collocare un posto del genere.  

 

Atlantide, un mito che sta per ripresentarsi a causa della follia, della hybris di certuni: quale è la sua formula da consigliare al singolo per scongiurare questa spada di Damocle che pende sulle nostre teste?

Le condizioni per cui si verifichi una nuova Atlantide sono sempre esistite. L’uomo ha sempre dovuto affrontare disastri ambientali che hanno interessato migliaia di persone. Solo per fare qualche esempio: la distruzione di Pompei, le alluvioni del Nilo, i continui straripamenti del Tigri e dell’Eufrate, i vari maremoti, che hanno sconvolto le coste in molte parti della terra, o i terremoti più disastrosi sotto gli occhi di tutti. Ma oggi quest’Atlantide, che potrebbe essere sommersa e distrutta, non è una parte della terra, ma la terra stessa. Quale sarebbe la formula per scongiurare tale catastrofico evento? Molto semplice: fare meno ambientalismo e prestare più cura all’ambiente.

Oggi purtroppo si fa molto ambientalismo, che è filosofia, politica, messaggio mediatico da parte di chi realmente ha limitato interesse per l’ambiente, soprattutto naturale, anche perché sono idee condotte spesso da chi non conosce l’ambiente o fa finta di non conoscerlo, ma ha la pretesa di conoscerlo, devolvendo qualunque responsabilità ai politici. Mi ricordo che una volta, quale amministratore del mio paese, promossi una giornata per la difesa dell’ambiente, con l’obiettivo di liberare dalla spazzatura un ampio tratto del nostro fiume. Invitai anche un esponente dell’ambientalismo locale, che accettò. Venne che era quasi mezzogiorno. Nell’amicizia gli chiesi come mai così tardi.

Mi rispose: “Questa deve essere un’azione dimostrativa, un’azione politica, un far prendere coscienza del problema. Non puoi pensare di pulire il fiume che è una discarica”. Capii allora che molto spesso l’ambientalismo è filosofia, far prendere coscienza agli altri della gravità del problema, senza poi sostanzialmente fare nulla. A questo punto è proprio il singolo che può fare molto, rinunciando a qualcosa che sappiamo vada contro l’ambiente (ma credo neppure i più accesi ambientalisti siano disposti a rinunciare a qualcosa), evitando quelle attività che producono un eccesso di CO2, e favorendo quelle che aiutano invece l’ambiente, facendo anche pressione sui politici con proposte reali per promuovere adeguate normative, senza preconcetti.

Per limitare una catastrofe comunque sarebbe già un primo passo evitare i moltissimi incendi, limitare il consumo di energia, favorire “realmente” le energie pulite. Ma credo sia un’utopia ancora lontana a venire, mentre una nuova Atlantide potrebbe starci proprio a ridosso.

 

© 2023 CIVICO20NEWS - riproduzione riservata

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 27/08/2023