Conversando col pittore Elio Pastore
Elio Pastore.

La sua mostra “Suggestioni Artiche - Appunti artistici di un raid in Scandinavia da Giaveno a Senja Island (Norvegia) – Aprile 2023” si è di recente conclusa a Giaveno

Propongo ai Lettori di Civico 20 News l’intervista al pittore Elio Pastore, del quale si è di recente conclusa a Giaveno (Torino), la mostra dal titolo “Suggestioni Artiche - Appunti artistici di un raid in Scandinavia da Giaveno a Senja Island (Norvegia) – Aprile 2023” (m.j.).

Quale è stato il suo percorso formativo?

Il mio percorso è andato in senso inverso a quello normalmente seguito dagli artisti: in genere un pittore dapprima impara le tecniche classiche e poi, col tempo, si approccia per curiosità alle nuove tecnologie. Nel mio caso, poiché sul lavoro mi occupavo parecchio di grafica, ho iniziato a sperimentare con l’arte digitale esattamente trent’anni fa, quando di quest’arte non esisteva ancora nemmeno una definizione, figuriamoci materiali e tecniche prestabilite...

Per alcuni anni ho sperimentato l’arte frattale, creata manipolando le formule di Mandelbrot, un matematico francese di origine polacca, che a metà Novecento aveva scoperto che tutte le forme esistenti in natura non rispondevano alla legge del caso ma che ogni morfologia naturale, per quanto articolata e complessa, obbediva a una legge universale.

Dal punto di vista artistico le immagini frattali sono dotate di grande bellezza ed equilibrio, di armonia cromatica e di fluidità gestuale, perché pur sembrando inizialmente astratte, nascono dagli stessi processi che formano il mondo circostante e quindi risultano familiari ai nostri occhi.

Dai frattali sono passato ad altre sperimentazioni: pittura digitale (che dura ancor oggi), modellazione 3D di figure e paesaggi, incisioni laser su alluminio; a metà del mio percorso ho poi avvertito l’esigenza sempre più pressante di intervenire anche manualmente sulle opere digitali, che sono così diventate tecniche miste, e infine di creare disegni e dipinti con le tecniche classiche.

A quel punto ho sentito l’assoluta necessità di “andare a scuola” e ho frequentato per alcuni anni lo studio di Vinicio Perugia e di altri artisti, fra i quali il grande pittore spagnolo Vicente Romero Redondo.

Qual è la sua concezione dell’arte?

I miei “maestri” sono tanti, perché prima di iniziare l’attività artistica in prima persona, sono sempre stato appassionato di arte classica e contemporanea e frequentavo mostre e musei.

Sono un fan (per dirla in stile social) di Caravaggio, di Vermeer, dei Preraffaelliti, della pittura simbolista, di Boldini e Mucha, ma anche di Hopper, Magritte, del nuovo realismo spagnolo, di Sergio Albano e di tanti amici pittori che ho avuto l’onore di conoscere personalmente.

Utilizzo modi espressivi differenti ma non inconciliabili fra loro, che spesso si intrecciano e rappresentano sempre uno specchio della stessa anima ed hanno un unico intento: celebrare la bellezza, che è presente ovunque. Nel microcosmo, nei mondi della nostra immaginazione, nella natura, nella figura femminile. Credo che uno dei compiti dell’arte sia comunque quello di esprimere bellezza.

Qual è il suo stile e quali sono i suoi soggetti preferiti?

Negli ultimi anni ho seguito due binari paralleli. Per quanto riguarda i dipinti e i disegni classici mi sono dedicato quasi esclusivamente a realizzare ritratti e figure femminili legati al periodo Liberty e alla Belle Époque, che sono il mio vero grande amore artistico.

D’altro canto, proseguo la produzione di tecniche miste e dipinti digitali, con la serie “Moving people”, progetto che dal 2017 si è sviluppato esplorando inizialmente la perdita di personalità dell’individuo nel vortice della quotidianità, e successivamente la necessità di ri-socializzazione umana dopo il terribile periodo dei lockdown.

Quest’anno è nata anche la serie “Suggestioni artiche”, ispirata da un mio recente viaggio di 8000 km nei paesi scandinavi, che ho recentemente esposto in una mostra personale a Giaveno. Entrambe, devo dire, hanno incontrato il favore del pubblico e mi stanno dando grandi soddisfazioni.

Tuttavia, la cosa più bella per me, visto anche l’età non più verde, è l’idea di lasciare una traccia del mio passaggio attraverso i miei quadri, che magari parleranno ancora anche quando non ci sarò più, così come le mie donne del Novecento riescono ancora oggi a suscitare delle emozioni e a diventare senza tempo. Per questo sono felice che alcune mie opere si trovino in musei, chiese e istituzioni, anche all’estero.

Oltre alla pittura, si è cimentato in altre arti?

Nella musica, ma a livello molto più amatoriale. Da giovane componevo canzoni e brani per chitarra e all’inizio degli anni 2000 avevo autoprodotto un cd di mie musiche realizzate interamente al computer. Poi ho scelto di privilegiare l’arte figurativa.

Si riconosce nelle parole di qualche critico d’arte?

In trent’anni ho avuto molte recensioni, che rispecchiano le fasi del mio percorso. Quasi vent’anni or sono Elisa Bergamino aveva scritto: «Elio Pastore usa le nuove tecnologie per creare universi mentali. L’aspetto più maturo della sua personalità è la contaminazione fra generi, una sorta di globalizzazione creativa dove l’unicità si sposa all’universalità. Dalla fotografia, alla pittura tradizionale, dal disegno all’arte virtuale, dalle elaborazioni elettroniche alle sperimentazioni tradizionali, Pastore ha saputo trovare un punto di equilibrio su cui far ruotare i suoi pensieri, dando origine a mondi surreali e onirici, ma anche perfettamente reali perché scaturiti da un autentico amore per l’arte e per il bello».

Guido Folco a sua volta aveva commentato: «Pastore dialoga con una e tante nuove realtà, rese possibili dalla tecnologia e, quindi, dall’intelligenza e dalla scienza dell’uomo. In questa terza dimensione dell’arte e del pensiero l’artista trova lo spirito che mosse gli antichi a indagare nuove formule di espressione, aprendo una finestra su mondi inesplorati».

Per i dipinti ispirati alle donne del Novecento, ma in generale anche sulla mia storia artistica, il critico Andrea Speziali, specializzato nell’Art Nouveau, ha recentemente scritto alcune considerazioni in cui mi riconosco molto: «Se passiamo in rassegna le opere di Pastore, pur nell’apparente discontinuità, tutte sono testimonianza e riflessione di una poetica dell’illusione che, nel corso degli anni, è venuta maturando e articolandosi in declinazioni diverse.

Illusione ottica. Illusione percettiva. Illusione temporale. Illusioni all’interno della quale Pastore ci trascina con strumenti diversi. A volte ricreando mondi onirici, altre volte consentendo all’occhio di perdersi e, quindi, alla mente di vagare libera. Altre volte ancora facendoci catturare dal malinconico sguardo di una Signora dei primi del ‘900 che sembra volerci sussurrare un segreto e ci fa desiderare di avvicinarci per cogliere meglio le sue parole. Perché se lo sguardo ci cattura, l’illusione di avere colmato la distanza spazio tempo ci fa entrare in una dimensione a se stante.

E l’apparente semplicità e quotidianità delle situazioni rappresentate ce le fa sentire subito affini. Amiche, madri, sorelle di grazia assoluta, che evocano gli splendori del Liberty e in quel preciso istante parlano solo a noi. In questo dialogo percettivo che Pastore riesce a tessere con l’osservatore sta racchiusa l’essenza della sua opera».

Circa la serie “Moving people”, infine, la critica e curatrice greca Afrodite Oikonomidou ha scritto: «I dipinti diventano una sorta di narrazione utopica nella quale la presenza umana, preda dei movimenti di massa sempre più indistinti e dispersivi, si perde sino a diventare assenza. Ma l’elemento predominante nelle opere è la presa di coscienza dell’artista che, attraverso colori forti elaborati con maestria, ci trasmette il suo pensiero critico, i suoi dubbi, le sue aspettative da un mondo che cambia inarrestabilmente».

 

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Articolo pubblicato il 02/11/2023