Alle origini di un antichissimo mezzo di trasporto
Storia e mito dello sci si confondo nelle fonti più arcaiche che caratterizzano questo particolarissimo mezzo. Infatti, al di là dell’aspetto esclusivamente sportivo e agonistico rivestito nella cultura contemporanea, lo sci ha un sostrato molto antico, che l’archeologia, la storia, lo studio della cultura materiale, ma anche il folklore, hanno via via restituito ai ricercatori.
Anche se con precisione non si conosce nulla sulla sua origine, oggi gli archeologi sono in grado di collocarlo almeno intorno al 2000 a.C. Questa certezza giunge dal ritrovamento a Hoting, in Svezia, di un frammento di sci in legno la cui età è stata stimata attraverso i pollini presenti sul reperto (4500 anni). Accanto a questa importante testimonianza se ne conoscono altre più recenti: quella di Kalvträsk (Svezia) risalente al 1900 a.C., quella di Øvrebø (Norvegia) e Riihimaki (Finlandia), sulla cui età gli studiosi non sono ancora concordi (3000 anni per alcuni, più recente per altri).
Due singolari statuine conservate rispettivamente al Museo di Brooklyn e all’Albright Gallery di Buffalo, raffigurano uomini con calzari molto simili agli sci e con bastoni nelle mani. Sull’origine di questi due reperti gli archeologi non sono allineati: sostanzialmente vengono indicati come opere medio-orientali, forse di origine ittita, variabilmente date tra il 1000 e il 3000 a.C. Due testimonianze di indubbio interesse che potrebbero essere delle tracce di una cultura nordica conosciuta attraverso contatti con le regioni estreme.
Emblematiche le incisioni rupestri: la prima, rinvenuta a Rødøy (Norvegia) e datata al 2000 a.C. raffigura un cacciatore sugli sci, provvisto di un unico bastone tenuto con entrambe le mani – come la pagaia di una canoa – secondo il più antico metodo di sciare.
La seconda è un’opera più complessa, ritrovata a Zalavroug, Mar Bianco, ben tre sciatori nudi con un postura tale da lasciare quasi intendere una funzione rituale della rappresentazione.
Da ricordare anche la runa di Balingsta, rinvenuta nelle vicinanze di Uppsala, in Svezia: l’opera raffigura una scena di caccia sugli sci, in cui uno dei cacciatori si avvale di arco e frecce.
Non è da escludere che queste raffigurazioni avessero un ruolo propiziatorio, connesso a tradizioni simboliche destinate a favorire lo svolgimento delle pratiche venatorie.
Questo materiale, connesso alle saghe nordiche, può essere considerato un apporto determinante allo studio delle origini di un sistema per muoversi sulla neve che certamente, nelle culture dell’estremo nord, divenne un fondamentale contributo alla sopravvivenza.
Accanto ai documenti eminentemente archeologici, gli storici dispongono di altre fonti per cercare di ricostruire la storia dello sci: per esempio, Erodoto (V secolo a.C.) nelle sue Storie afferma di aver visto dei “barbari” della Scizia con “piedi capra”, che vivevano “su alti monti che tagliano ogni comunicazione e che nessuno può varcare”. I piedi di capra altro non erano che calzature con sotto legate primitive racchette, adottate dalla tribù del Caucaso”.
Nell’Anabasi Senofonte (V-IV secolo a.C.) chiarisce che le genti dell’Armenia portavano ai piedi degli “zoccoli larghi” per evitare di affondare nella neve; queste speciali calzature erano previste anche per i cavalli.
Strabone, nella sua ampia trattazione raccolta nella Geografia riferisce che le popolazioni caucasiche si servivano, per correre sulla neve, di particolari suole di cuoio fissate su assicelle di legno, inoltre utilizzavano delle pelli di animale come slitta per scivolare lungo i pendii innevati.
Spesso, nelle descrizioni classiche, lo sci vero e proprio e la racchetta da neve risultano confusi e non sempre è possibile risalire con precisione all’effettiva caratteristica degli strumenti utilizzati. Ne abbiamo un chiaro esempio nelle memorie lasciate dallo storico greco Arriano (I-II secolo d.C.), che sottolinea con stupore l’abilità delle guide indigene utilizzate dai romani in Armenia: gli autoctoni si servivano di “cerchi costituiti da ramicelli intrecciati”, riuscendo così a non sprofondare nella neve e a muoversi abilmente nel difficile territorio.
Plinio il Vecchio (I secolo d.C.), nella Naturalis Historia, fa riferimento a una misteriosa popolazione proveniente dall’Est europeo che definisce “ippopodomi”, cioè dotati di piedi di cavallo.
In questo caso storia e mitologia si intersecano, alimentando la leggenda su misteriose popolazioni che spesso nascevano dalla fantasia di viaggiatori ed esploratori e che si consolidavano anche in ragione della scarsa conoscenza posseduta sulle popolazioni stanziate negli angoli del mondo.
Più nitide le descrizioni degli storici Procopio (VI secolo d.C.) e Paolo Diacono (VIII secolo d.C.), che specificano con maggiore chiarezza la forma dello sci, fornendo delle indicazioni tecniche di notevole interesse. Paolo Diacono, per esempio, nell’Historia Langobardorum sottolinea che le genti del Nord “correvano sulla neve con legni arcuati”, lo sci risulta quindi descritto con caratteristiche che si sovrappongono al modello che potremmo definire “moderno”.
Secondo la tradizione nordica il primo sciatore fu il mitico Nor, fondatore della Norvegia: eroe culturale che possedeva la coscienza divina dello sci e la insegnò anche agli uomini. nella versione più antica del poema epico Kalevala che contiene testi provenienti dall’antica tradizione orale, si narra che gli eroi fondatori del paese sciassero con tavole e bastoni: l’energia che li animava era tale che a ogni movimento dagli sci si sprigionavano delle scintille. Nel poema, i mezzi usati per scivolare nella candite pianure innevate erano “tavole vestite di pelliccia”, passate in Norvegia – così nel Kalevala – dalla Lapponia intorno al X secolo.
Nella mitica Edda: vero Sancta sanctorum della cultura nordica: si narrano le gesta della dea Skade, il cui nome significa “dea degli sci”. Storia e mito quindi si confondono, creando un sostrato complesso, difficile da scindere per due motivi molto chiari. Il primo dovuto appunto alla pressione del mito; il secondo dall’interpretazione spesso enfatizzata dei primi viaggiatori ed esploratori spintisi fino ai Paesi del ghiaccio perenne. Nelle loro memorie spesso anche i fatti più banali e quotidiani assumevano sfumature soprannaturali, sorprendenti, solo perché sconosciute alla loro cultura di appartenenza.
Olaos Magnus, autore dell’Historia de gentibus septentrionalibus (1555), ricordava “i popoli che abitano sotto il polo, così maschi come femmine, con alcuni legni sotto li piedi, di tanta lunghezza quanto le persone sono grandi, perseguono le fiere con sì veloce corso che alle volte gli vanno innanzi (...)”. In un altro punto della sua descrizione, Olaus Magnus specifica: “gli abitanti di quel paese camminano con gran prestezza, però che si mettono in piedi certi zoccoli piani di legno e lunghi, et in punta ritorti all’insù a guisa d’arco e tenendo in mano un bastone vanno all’erta, et alla china come piace loro, molto velocemente e massime per le nevi ghiacciate”.
È interessante ricordare che, secondo una interpretazione ricorrente nel periodo, quando si trattava di valutare le differenze e l’alterità, papa Paolo III leggendo l’opera di Olaus restò alquanto colpito e inquietato dall’uso di questi strani “zoccoli”; in seguito ci fu chi li definiti “strumenti del diavolo”.
Pare che comunque anche i riformisti luterani non gradissero gli sci, infatti li definirono “gran diavoleria”, cercando di arrestarne la diffusione nella Scandinavia.
Altre indicazioni sulla storia dello sci sono reperibili nell’opera Degli abiti antichi e moderni di Cesare Vecellio, stampata nel 1590; in questo volume l’iconografia dello sci e degli sciatori è tratta dalle descrizioni di Olaus Magnus, mentre l’autore non ebbe mai modo di vedere uno sci e tanto meno uno sciatore.
Diversa l’esperienza di Giovanni Guagnini, avventuriero e cartografo, che nella sua opera Sarmatiae europeae et asiaticae descriptio (1578), così descrive gli sci: “sono legni larghi e corti, la loro lunghezza non supera i tre cubiti (circa 1,30 metri, n.d.r.)”.
Guagnini ebbe modo, nel corso dei suoi viaggi, di osservare attentamente gli sciatori e probabilmente di provare quella rivoluzionaria tecnica di movimento sulla neve.
Negli stessi anni in cui l’opera di Guagnini vedeva le stampe, Torquato Tasso volle citare gli sci nella Gerusalemme liberata (XIV canto):
“Siccome soglion là vicino al polo, / s’avviene che ‘l verno i fiumi agghiacci e indure,/ corre su ‘l Ren le villanelle a stuol/ con lunghi strisci, e sdrucciolar secure,/ tal ei ne vien sovra l’instabil suolo/ di queste acque non gelide e non dure”.
Una testimonianza più recente, che può essere considerata la fonte ufficiale sull’uso dello sci, risale alla prima meta del XVII, ed è fornita da padre Francesco Negri di Ravenna, espolatore-missionario del Grande Nord. Dalle sue parole abbiamo una descrizione degli sci che potremmo definire moderna: “due tavolette sottili, che non eccedono in larghezza il piede, ma lunghe otto o nove palmi, con la punta alquanto rilevata per non intaccar la neve.
Nel mezzo di esse sono alcune funicelle, con le quali se le assestano bene una ad un piede e l’altro a l’altro, tenendo poi un bastone alla mano, conficcato in una rotella di legno all’estremità, perché non fori la neve; ovvero anche senza tal bastone camminano sopra la neve, in tempo che non è agghiacciata, né atta a sostener un uomo”...
Lo sci era così definitivamente uscito dal mito ed entrato a far parte della storia....
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Articolo pubblicato il 17/11/2023