Chi può afferrare e trattenere l’acqua di un torrente?

Cosa potrebbe accadere se l’essere umano si trovasse privo della parola?

Disponiamo delle parole, di un linguaggio parlato e scritto e di altri mezzi di comunicazione, come il linguaggio del corpo, la musica e le espressioni artistiche. Ma cosa accadrebbe se l’uomo fosse privato di tutti questi linguaggi?

Il linguaggio consente di mettere ordine nei nostri pensieri, di comunicare e di percepire se stessi in rapporto agli altri, ma anche con il loro aiuto.

Il dualismo del “tu e io” facilita l’apprendimento.

Esprimere un pensiero, significa divenire coscienti. Il linguaggio fondato sul dualismo ci offre la possibilità di uno sviluppo.

Se l’uomo fosse privo del linguaggio, sparirebbe anche l’apprendimento insito nell’interazione con gli altri?

Spingiamo oltre questa riflessione: potrebbe sparire l’attribuzione di un significato e anche la nostra coscienza? Allora, cosa resterà?

Per comunicare, per trasmettere una informazione, noi utilizziamo una lingua e delle parole. Una risonanza magnetica mette in evidenza quali aree del nostro cervello sono attive in questo processo.

Le parole sono i veicoli dell’informazione e quindi sono logicamente subordinate alla lingua. La lingua è il principio comunicante e le parole rappresentano la forma, il veicolo di una idea, di un significato.

Usiamo le parole per comunicare le sfumature di ciò che vogliamo dire. Quando le sfumature diventano molto sottili, oltre il significato delle parole, subentrano la comprensione intuitiva e l’interpretazione.

Inoltre, esistono numerose stratificazioni linguistiche, codici comuni e condizionamenti di cui, spesso, non siamo coscienti, perché questi codici sono diventati parte integrante di noi stessi.

Per mezzo di un linguaggio codificato, o gergo, gruppi o individui possono essere accettati o esclusi. Così, noi limitiamo le parole del nostro linguaggio con interpretazioni più o meno prestabilite, in modo tale che il lessico si individualizza e perde la sua universalità. è possibile osservare questo nel modo in cui i giovani affermano e difendono la propria identità tramite il linguaggio.

Un ulteriore aspetto di questa riflessione rivela l’estrema difficoltà a sviluppare qualcosa di realmente nuovo. Sembra che la maggior parte di noi sia bloccata dal giogo di un mondo di idee limitato, e che dipendiamo tutti da tale campo collettivo o individuale.

Una creazione totalmente nuova, utilizzando il principio formativo della parola e del linguaggio, potrebbe scaturire soltanto da un fattore esteriore al mondo dei nostri pensieri. Esiste qualcosa di simile e ci è possibile identificarlo? Qual è l’origine dell’idea che vuole manifestarsi? A quale mondo di idee e di pensieri noi attingiamo e apparteniamo? Esiste un altro mondo?

A volte la parola è considerata il nucleo di un’idea, un archetipo; e la lingua, che utilizza le parole per esprimere tale idea, la fa vivere.

È la lingua che definisce la parola oppure è la parola che definisce la lingua? Il mezzo è la parola, oppure la lingua ?

Le parole del nostro idioma sembrano essere precisi mezzi di comunicazione. Tuttavia, C. van Dijk, osservando la scrittura ideografica cinese, meno definita per l’uomo occidentale, scrive nella introduzione alle parafrasi sul Tao Te Ching:

Il modello del pensiero occidentale assimila la quasi totalità della saggezza orientale a ipotesi non controllabili, mentre in realtà si tratta esattamente del contrario. In effetti, l’intero sviluppo intellettuale presenta soltanto la superficie, la quale nasconde un nucleo più profondo. Pertanto, ogni denominazione precisa (nel senso spirituale) è solo una ipotesi. […] Il “forte” deve accettare che nulla è così forte come la debole acqua che, adattandosi, accoglie ogni forma. Se esitate ad accettare questo, mettete da parte questo libretto, perché non ha nulla da dirvi. […] Ma se si tratta di una realtà che non conosciamo, cosa ne facciamo della nostra facoltà di pensare concretamente?

Siamo abituati ad analizzare, a sgusciare la piccola ghianda, ma riusciamo a trovare la quercia in essa? C. van Dijk non ha scelto una traduzione, o un confronto fra traduzioni già esistenti di questi molteplici pittogrammi cinesi, bensì una trasposizione in parafrasi, poiché tutto dipende dalle capacità insite nella coscienza individuale.

Per questo parla di un “ragionato poema tratto dal cinese originale”, ponendoci davanti a un “riaggiustamento guidato dei concetti mentali” e ci consiglia di meditare sui testi, anziché analizzarli. Inoltre, egli dice che il pensiero spirituale, o meglio la saggezza, ha bisogno di un canale attraverso il quale fluire.

Si tratta di un realtà diversa che va oltre quella conosciuta delle lingue e delle loro traduzioni, con tutte le conseguenze che ne derivano.

A fianco della realtà assordante del nostro io, c’è il Sé interiore, silenzioso.

Come possiamo lasciarci permeare dalla pura e astratta aspirazione interiore alla vita universale? Benché astratta, la vita universale muove tutto, ispira tutto, pur essendo la causa sconosciuta, situata al di fuori di tutto ciò che viene mosso.

L’autore del movimento diventa manifesto proprio in questo eterno movimento della creazione. Da qui le profonde parole dei Rosacroce: Dio ha scritto il carattere della natura e nessuno può leggerlo se non l’ha imparato alla sua scuola.

L’apprendimento prosegue fino a quando non realizziamo che noi stessi siamo questa natura, e che nel più profondo del nostro essere è impresso un segno divino.

Quando prendiamo coscienza che la parola e la vita si mescolano, che siamo sia il bersaglio che la freccia, allora, intuitivamente comprendiamo.

Immagini estremamente vivide depongono in noi la loro traccia. Immagini al limite estremo della nostra comprensione. Immagini molto misurate, accordate al nostro stato del momento, si offrono alla nostra coscienza, affinché la loro saggezza e la loro forza possano trasformare il nostro essere.

Inizialmente la parola sembra svanire in noi, perché vogliamo afferrarla con la comprensione cristallizzata della nostra vecchia coscienza.

Ma tutto questo non può durare: le immagini dei momenti di silenzio trasformano lentamente la pietra, come gocce d’acqua che cadono senza fine.

Siamo abituati, con il nostro pensiero e la nostra sensibilità, a registrare tutto, per attingere poi in questa riserva di conoscenza e di sapere; ma ciò che ci chiede il linguaggio interiore è di interpretare, di tradurre direttamente in atti, di viverne.

Non è possibile arrestare la vita, essa fugge.

Chi può afferrare e trattenere l’acqua di un torrente?

La vita si rinnova in ogni istante, in un perpetuo fluire. Ricevere, vivere, dare e di nuovo ricevere e così tutto rinnovare. Quando, fiduciosi, ci abbandoniamo a questa corrente di verità e di vita, nulla di quello che riceviamo può diventare lettera morta, nessuna parola si fissa in una immagine preordinata. Tutto quello di cui abbiamo bisogno è già presente. Questo è il Tao. Sgorga dalla sorgente. Siamo collegati con il mondo intero e, quando è necessario, comunichiamo per mezzo della parola.

Il cammino quotidiano non è la Via delle vie.

La vita non è ciò che viene fatto di essa.

La realtà non è come noi immaginiamo che sia.

Chi è umile, è già risvegliato.

La parola non è sempre come la si intende.

Tao è nondimeno invincibile;

egli si adatta e si conforma a tutto.


Fonte: Pentagramma – Edizioni Lectorium Rosicrucianum

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Articolo pubblicato il 12/08/2015