Febbraio in nero - Parte 2

Il Cinema di altri tempi nelle mille sfumature del genere Noir

Continuiamo questo percorso noir intrapreso la scorsa settimana, piazzando sul banco altri tre imperatori della storia del cinema che hanno a modo loro lottato per imporre le loro idee e la loro immaginativa nell'arte che producevano.

Il primo di cui andiamo a parlare è Otto Preminger, regista notoriamente duro e irascibile sul set che però si guadagnava il diritto alla sua arroganza con la qualità indiscutibile dei film che dirigeva.

Un regista coraggioso che osò sfidare le autorità nel periodo più buio del maccartismo americano, ingaggiando per la sceneggiatura del suo "Exodus" un personaggio discusso come Dalton Trumbo, scrittore allora ostracizzato dai produttori per le suo note idee di sinistra, uomo incrollabile che sopravvisse scrivendo sotto falso nome e così riuscendo addirittura a vincere due premi Oscar e scrivere altri soggetti indimenticabili come il celebre "Spartacus" diretto da Stanley Kubrick.

Passiamo poi ad Alfred Hitchcock, il geniale "re della suspance" il cui curriculum parla da solo, sperimentatore visivo fin dai tempi del cinema muto poi trapiantato in America, dove tra i suoi innumerevoli film abbiamo cult indimenticabili come "Psycho", "Intrigo internazionale" o "La donna che visse due volte".

Un regista che ha dettato legge nel suo mondo pur essendo anch'esso mal visto dall'entourage Hollywoodiano (non ha mai concorso per un Oscar) ma che ha lasciato una sua indelebile eredità nella scrittura dei thriller e la costruzione psicologica dei personaggi, oltre essere poi un maestro nella composizione visiva dell'immagine con la fotografia e le scenografie e ancora meglio essere uno dei migliori cineasti di sempre come intuito e sapienza narrativa per immagini, grazie all'indimenticabile montaggio con cui teneva sempre col fiato sospeso lo spettatore dal primo all'ultimo minuto.

Chiudiamo il cerchio poi parlando di Fritz Lang, tedesco austriaco autore di autentiche pietre miliari del cinema come il fantascientifico "Metropolis" oppure "M - Il mostro di Dusseldorf", quest'ultimo già un pre-noir a livello concettuale, come scelte fotografiche e di montaggio che fu ovviamente bollato dalla stupidità nazista dell'epoca come "arte degenarata".

Trasferitosi a Los Angeles a metà degli anni '30, spaziò grazie al suo versatile talento poi dai western crudi e pieni di giustizieri privati come "Il vendicatore di Jess il bandito", o altri thriller come "La donna del ritratto" e noir come "La strada scarlatta", riuscitissimo remake di un film di Renoir.

Il regista è universalmente riconosciuto per il suo uso ed evoluzione dell'espressionismo nel mezzo cinematografico, esasperandone l'emotività di fondo con le sfumature psicologiche di cui erano pregne le sue storie e il talento innato nella scelta dell'inquadratura e i sapienti movimenti di macchina.

Conclusa questa breve (data i soggetti) ma doverosa introduzione, passiamo oggi ai tre film di cui sono autori e che segnano tre tappe fondamentali del cinema noir e anzi, il cinema internazionale in senso più ampio.


VERTIGINE (1944 - Otto Preminger)
Un film fortemente voluto da Preminger, il quale lottò duramente con la 20th Century Fox per riuscire a mantenerne il controllo e la direzione artistica.

Partendo dall'omicidio di una ricca e famosa imprenditrice, Laura Hunt (interpretata dalla sensuale e sensibile Gene Tierney), scopriamo il mondo e l'habitat sociale che la circondava mentre il poliziotto interpretato da Dana Andrews viene assistito/accompagnato nelle indagini dal giornalista, amico e mentore della donna, Waldo, interpretato da un grandioso Clifton Webb.

Un piccolo mondo, l'agenzia pubblicitaria della donna, pieno di ragazzi alla moda e sciacalletti assortiti; nonchè di donne dai modi facili disposte a tutto pur di fare carriera.

Minuziosamente studiato e sceneggiato il rapporto tra i vari personaggi e Laura, specie con il poliziotto e il giornalista talmente ossessionato da perderla che ne sabota i rapporti con altri uomini.

Una donna assente per gran parte del film (se non nei flashback) che è rappresentata solo dall'austero ritratto appeso sul luogo dell'omicidio, davanti al quale il poliziotto si addormenta poco prima del grandioso colpo di scena che ribalterà completamente tutta la storia.

Impareggiabile la surreale atmosfera che pervade tutto il film, con una fotografia e delle inquadrature sempre in sospeso tra l'illusione del sogno e la menzogna; personaggi dal fare sfuggente che si atteggiano a ciò che non sono per poi venire smontati in pochi dialoghi dalla coppia di uomini, uniti dal desiderio per la donna, che indagano inarrestabilmente fino all'insospettabile finale con cui si chiude la vicenda.

Regia di gran classe, una storia che vive sul filo sospeso della "sospensione dell'incredulità" come mai prima, attori completamente immersi nel mood dei loro caratteri; insomma non cè scusa al mondo per perdersi un grande classico come questo.


NOTORIOUS - L'AMANTE PERDUTA (1946 - Alfred Hitchcock)
Protagonista una coppia d'eccezione come Cary Grant e Ingrid Bergman, in una spy story dagli indubbi tagli noir diretta da un gigante del genere come Alfred Hitchcock.

La donna viene reclutata da Grant per infiltrarsi in casa di una spia (l'elegante ma implacabile Claude Rains), diventandone l'amante e incaricata di scoprire ogni prova atta a sventare un complotto nazista messo in piedi da un'organizzazione di stanza a Rio de Janeiro.

Ma una volta scoperta per la donna si apre il baratro della vendetta, ideata dalla spietata madre della spia (Leopoldine Konstantin) che avvelenandola in segreto la debilita di giorno in giorno fino a tenerla prigioniera nella casa, in attesa che il gruppo di spie decida come sia meglio sbarazzarsene.

Un film che a distanza di oltre settant'anni non ha perso un briciolo della sua potenza originaria, visivamente straordinario e suggestivo, una dolce poesia d'amore che si trasforma lentamente in un incubo; mentre un sempre più disperato Cary Grant tenta ogni mossa per salvare la sua amata dalle grinfie dei nazisti.

Incredibile la performance di Ingrid Bergman, attrice di una bellezza indimenticabile e capace di suscitare con un solo sguardo una incredile tenacia e forza di volontà, unite alla paura e incertezza per il suo destino che ne fanno un personaggio tanto epicamente eroico, quanto debolmente e tragicamente umano.

Solida come le fondamenta della terra la regia di Hitchcock, capace come al solito di far montare la tensione nell'iniziale gioco del gatto al topo tra le spie tedesche e quelle americane, nonchè virando decisamente sull'horror psicologico nella trappola finale con cui la Bergman viene segregata nella casa dal cattivo e la sua spietata madre.

Stratosferico il successo di pubblico e di critica per il film, che rimane uno dei maggiori incassi del regista per quell'epoca; nonchè allora di attualità e critica verso l'America e la corsa alle armi nucleari, nello stesso anno in cui poi fu sganciata la bomba su Hiroshima.


IL GRANDE CALDO (1953 - Fritz Lang)
Uno dei film dove più di tutti è messa in scena la lotta del bene contro il male, diretto nel periodo Hollywoodiano di Fritz Lang e giustamente annoverato tra i più bei film noir di tutti i tempi.

Protagonista della storia è Glenn Ford, incorruttibile sergente della polizia che non esita a lanciare il guanto di sfida al boss indiscusso della criminalità locale, il quale per vendetta non esita a piazzargli una bomba nella sua auto; fallendo miseramente e finendo solo con l'uccidergli la moglie e fare cosi dell'uomo un suo nemico giurato a vita.

Una storia permeata dal fetore della corruzione, con la polizia apertamente impotente e indolente nell'affrontare il crimine organizzato, quest'ultimo incarnato dal "boss Lagana" e il suo crudele tirapiedi interpretato da Lee Marvin.

Un uomo ricco e apertamente violento e arrogante verso chiunque, tanto da ustionare in volto una donna per ripicca con del caffè bollente, scena poi ripresa ne "Il lungo addio" di Altman, dove il boss sfigura la sua amante con un bicchiere di vetro solo perchè irritato dal fare strafottente del detective.

Diretto da un Fritz Lang carico di idee e talento come un fiume in piena, con un montaggio e una fotografia da scuola del cinema, Ford diventa così una forza della giustizia inarrestabile in lotta da solo contro l'intera città; riuscendo col suo coraggio e incrollabile determinazione a risvegliare le coscienze dei suoi colleghi e superiori.

Non da meno altrettanto importanti sono i caratteri secondari, a partire dal già citato e senza scrupoli Lee Marvin fino alla donna vittima dell'aggressione di cui sopra; la quale da "amante trofeo" esibita per bellezza diventerà, una volta sfigurata, la sciagura che porterà alla rovina totale l'intera banda criminale.

O ancora possiamo citare la moglie del poliziotto suicida, tragedia che da il via a tutti gli eventi, indifferente alla morte del marito e al destino criminale della città; ma avida soltanto di denaro e lussuose pellicce con cui si lascia corrompere per tenere la bocca chiusa.

Un altro grande successo di critica e di pubblico, seppur scioccato dall'allora inusuale violenza del film, che segna uno dei maggiori successi al botteghino del prolifico ed eclettico regista tedesco.

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Articolo pubblicato il 11/02/2018