Ricostituire dalle macerie un nuovo tessuto socioeconomico sostenibile. 2di3

Offrire in uso ciò di cui si dispone inutilizzato senza aspettarsi nulla in cambio prima che ...

Abbiamo concluso il precedente articolo facendo due considerazioni circa la possibilità di impostare un nuovo tessuto socioeconomico basato su presupposti diversi dal consueto.

La prima delle due è che, giacendo in gran parte inutilizzato, quindi sia un costo e non produca utile, tutto ciò che abbiamo a disposizione possa essere offerto, a chi ne sappia fare un uso corretto e responsabile, senza attendersi nulla in cambio prima che vi sia un ritorno economico coerente dalla filiera produttiva nel quale “quel tutto” sarà inserito;

 

Non è qualcosa di nuovo in sé poiché è quanto accaduto a quelle maestranze che sono subentrate al fallimento della propria azienda, inizialmente rilevandola, materiali e attrezzature compresi, e successivamente pagandola, a chi di dovere, quando i proventi del loro successivo lavoro lo avessero reso possibile.

 

La differenza sostanziale invece sta in questo; mentre in quei casi non c’è stata possibilità di scelta a fronte della perdita del posto di lavoro, nel caso che sto indicando ora si tratta di una scelta tipologica, coscientemente e volontariamente perseguita, avente finalità che esulano da un compito meramente utilitaristico remunerativo, per espandersi oltre, fino a comprendere aspetti sociali, ludici, formativi, culturali, assistenziali (non assistenzialistici), ed altri ancora, per integrarli in un tessuto di rapporti tra persone, e tra persone e contesto, in modo che ogni sforzo sia orientato allo sviluppo di una qualità delle vita compatibile con la dignità dell’essere umano e di tutto ciò che vive e rappresenti una risorsa coerente con le reali necessità vitali di tutto ciò che esiste.

 

In termini pratici, intendo dire che chi ha terreni, fabbricati, attrezzature, materiali ed altre possibilità (non necessariamente finanziarie) a qualsiasi titolo non utilizzati, può metterli a disposizione di chi vuole sviluppare un progetto.

 

Se questo progetto andrà in porto e produrrà ritorni economici, o di altro tipo, allora anche chi ha ci ha messo quanto aveva a disposizione per permetterne la realizzazione potrà averne un ritorno percentuale rispetto a quanto restituito dalla filiera produttiva (in senso non limitativo). Qualcosa è sempre meglio di niente e può servire anche solo a coprire eventuali spese e tasse che continuerebbero a gravare sul bene inutilizzato anche se esso non fosse produttivo (oggi, per non pagare tasse, alcuni proprietari di capannoni dismessi ne hanno rimosso i tetti per assimilarli a ruderi esentasse).

 

Tuttavia, anche nel caso in cui le possibilità auspicate in precedenza si presentassero esse non sarebbero ancora sufficienti senza che l’apparato pubblico faccia adeguatamente la sua parte istituendo zone franche tax free in accompagnamento alle iniziative imprenditoriali fino a quando necessario.

 

Infine, e questa è la scommessa più grande, occorre che chi ci mette il suo tempo e fatica agisca in modo cosciente e responsabile, sia per salvaguardare la propria e altrui salute che per condividere onestamente quello che occorre fare, o succede, comunque si presenti.

 

Come ho premesso, si tratta di un considerazione ingenua, ma quali alternative ci sono?

 

Attualmente, infatti, se si intendono ottemperare tutti i requisiti e soddisfare tutte le conseguenti esigenze di ordine normativo e fiscale, sfido chiunque a mettere in piedi una attività e farla funzionare per più di uno o due anni senza fallire. Troppa richiesta di sicurezza e troppe pretese significa niente di tutto ciò, ovvero, come dice un vecchio proverbio: chi troppo vuole, nulla stringe!

 

Che sia un privato o lo stato a operare senza tenere conto di quanto appena detto non farà differenza; chiunque provi a farlo diversamente non riuscirà ad imprendere alcuna attività che si regga per più di uno o due anni senza fallire*, come dimostrato dai default statali di alcuni paesi del sudamerica o dal drammatico aumento del deficit statale di stati ritenuti troppo grandi per poter fallire (ma solo fino a quando qualcuno decide di lasciare che ciò avvenga per non importa quali ragioni).

 

Qualche opinion leader ha paragonato l’attuale periodo a quello presentatosi dopo l’ultima guerra mondiale in cui necessitava ricostruire tutto ciò che era stato distrutto. Però a differenza di allora oggi ad essere stati distrutti non sono i beni materiali ma la nostra capacità di tirarci su le maniche e di immaginare un futuro sano e dignitoso anziché attendere solo e sempre aiuti dagli altri, lamentandosi che siano sempre pochi e tardivi o usandoli per andare in vacanza (legittima quando possibile) e poi tornare a piangere per averne fatto un uso sconsiderato.

 

Una coscienza miope e troppo rivolta a sé non vedrà mai altro oltre il proprio naso rischiando di farci cadere accidentalmente in uno sperduto tombino aperto e segnalato, nel qual caso prendendocela con chi avrebbe dovuto lavorarci nella notte tra le due e le tre anziché durante l’ora del nostro passaggio.

 

Né un insieme di coscienze miopi potrà far meglio anche con tutte le intenzioni e gli sforzi migliori. Occorre che le coscienze imparino a vedere con occhi diversi e scendere a più miti consigli con la realtà.

 

Altrimenti ci sarà un ancora più brusco risveglio, che non auguro a nessuno, al confronto del quale quanto già avvenuto sarà solo un piccolo assaggio.

 

Nel prossimo articolo entreremo nel merito della seconda considerazione.

 

grafica e testo

pietro cartella

 

* nota: attualmente in quasi tutti i paesi sviluppati la gran parte delle attività imprenditoriali produttive e manifatturiere sono in una fase di stallo in cui le entrate coprono a malapena i costi di struttura e maestranze e non lasciano margini per fare le attività produttive e manutentive che vengono affrontate a debito. Per questa ragione ed evitare di fallire non consolidano mai i bilanci ma compiono operazioni finanziarie di vendita o acquisizione che permettono di rimandare la resa finale. Ma comunque sia la sorte è segnata. Si salvano, finché dura, e accumulano grandi utili solo aziende produttrici di servizi o che speculano sui movimenti finanziari, ma si tratta di una ricchezza che non ha riscontro pratico: nessuna quantità di denaro può comprare il pane che non c’è!

 

Link utili per ulteriori considerazioni e riflessioni

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=29097

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=29098

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=29099

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=29100

 

 

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Articolo pubblicato il 22/08/2020