L'elaborazione del lutto

Una nostra Lettrice propone un argomento di grande interesse

Con grande piacere intervistiamo una nostra lettrice, la sig.ra Danila Moll, che vorrebbe realizzare un progetto letterario dal contenuto molto intrigante:

Gentile signora D.M. ci racconti la sua storia:
Vedova da un giorno ho cercato in internet qualche cosa che mi aiutasse a lenire il dolore, a razionalizzare l'evento. Non ho trovato quasi nulla di interessante. 
Ero convinta però che i miei forti alleati potessero essere un pensiero positivo, una grande fede di qualsiasi religione fosse, una amicizia sincera e come per tutto un po' di fortuna ma soprattutto la mia abilità nel rubare spazio al tempo, quello spazio che invaso dai ricordi distruggeva la qualità del mio tempo.

Come ha reagito ad un dolore così grande?
Durante il primo anno di lutto ho trascritto tutte le mie reazioni, i pensieri, le sofferenze e tutti gli astuti tentativi di uscire da questa prigione delle emozioni.
Al risveglio venivo presa da una disperazione claustrofobica insopportabile. 
Un giorno in preda ad uno spaventoso attacco di infelicità non sapendo come fare a placare il mio strazio ho preso due aspirine! Probabilmente per la proprietà analgesica del medicamento il dolore è diminuito. Nonostante che fosse un dolore psicologico con mia grande sorpresa e soddisfazione è  diventato controllabile.
Infatti ciò che conta è che rimanga contenibile poiché solo quando sfugge al nostro controllo diventa così pericoloso e così pervasivo e così insopportabile da far arrivare a estreme conclusioni.
Con l'alcol non è andata meglio, ho capito che un bicchiere di vino può far bene, due euforizzano ma con il terzo la sofferenza esce tutta, di colpo, incontrollabile e quindi è meglio sicuramente contenersi con gli alcolici: lo spirito che ci serve è di altro tipo...
Ho provato a stordirmi con il lavoro per non pensare, ma anche questo si è rivelato deleterio, perché lavorare troppo, e quindi stancarsi troppo, rende così deboli da non riuscire ad addormentarsi, riposare e a combattere l'inondazione di sofferenza, la quale è li subito pronta a sfondare le paratie. Dopo che ho passato questo infernale periodo mi sono proposta di dare una mano alle persone che si trovano in questa condizione, impreparate a gestire l'onda di piena, che l'evento produce. 

Con quale tipo di evoluzione si è manifestato il suo dolore?
Mi sono accorta che quando si arriva al lutto si è già stremati dal lungo periodo di malattia e dall'agonia e se poi la dipartita è avvenuta in modo totalmente inaspettato, lo shock che questo comporta sicuramente indebolisce alquanto.
Di frequente poi l'esperienza arriva ad una età avanzata, che produce una maggiore debolezza nella reazione. 

Quali consigli darebbe ad una vedova per aiutarla a superare il dolore di questa fase?
Non pretendo con questo breve scritto di riuscire ad attutire tutte le torture del cuore che sono dovute a una perdita, ma sicuramente so di poter dare dei consigli utili ad attenuare ogni singolo tipo di dolore, che compone la grande sfera nera del lutto. 
Sono anche perfettamente consapevole del fatto che ognuno di noi è diverso e che molte cose che sono state utili a me potrebbero non esserlo ad altri. Inoltre potrei ricevere io stessa dei validi consigli frutto dell’esperienza di altre persone, soprattutto su aspetti che non ho preso in considerazione.
Per questo motivo intendo tenere una rubrica per rispondere a quanti abbiano altri quesiti o per diffondere altri pensieri di saggezza utili provenienti da chi si trovi in questa dannata situazione.

Volendo entrare nel cuore del problema, pensa che si potrebbero evidenziare delle fasi in cui suddividere il periodo di elaborazione del lutto? 

E’ una domanda interessante, proverò a risponderle: innanzitutto possiamo dividere a grandi linee l'anno di lutto in quattro trimestri caratterizzati da  realtà differenti. 

Nel primo trimestre prevale uno stato di incredulità e shock: non ci si rende conto veramente di quello che è successo, si sta male e basta e poi le mille incombenze  burocratiche non allontanano dall’ evento, ma hanno il merito di tenerci occupati. Durante questa prima fase siamo proiettati esclusivamente nel passato e nel presente, un dolore così grande è composto da tante ferite più piccole questo immenso dolore quindi va sezionato in piccole parti e affrontato a temi sembrerà una cosa strana o difficile ma non è così e aiuta.

Nel secondo trimestre inizia ad affiorare l'assenza, ormai diventata palese, perché per un periodo si ha come la sensazione che la persona si sia allontanata ma che tornerà.
Nel periodo della cosiddetta assenza, e cioè il secondo trimestre, il cervello è un po' più lucido, il cuore un po' più stanco e si intuisce che le cose stanno andando veramente male. 

Nel terzo trimestre il cervello viene in aiuto. È come se contribuisse a cicatrizzare il trauma, mettendo un po' d'ordine nel caos e rendendo più facile la quotidianità. 

Nel quarto trimestre il nostro corpo è abituato all'assenza, ha riposato abbastanza rispetto al periodo di cure e al lutto stesso. Si ricomincia ad aver voglia di vivere esplorando nel mondo quanto di altro vi sia da prendere in considerazione per la propria vita futura.
La sofferenza deve prendere una identità. 
Ci si domanda perché si soffre e ogni risposta richiede una strategia diversa con la quale ingaggiare un combattimento contro il pensiero che viene dal profondo dell’anima. Ogni sofferenza, proviene da un pensiero, quindi sarà necessario analizzare sia i propri pensieri che quelli che giungono da altre persone.

Pur non essendocene ovviamente motivo possiamo parlare di frustrazione o di impotenza per non essere riusciti a salvare la persona cara?
Se avete amato così tanto una persona da soffrire ancora dopo tanto tempo, sicuramente avete fatto tutto quello che potevate fare per salvarla.
Tuttavia credo che esista una sorta di destino che debba compiersi, le cui dinamiche siano indipendenti da quanto ci siamo impegnati per aiutare quella determinata persona. Nel caso di una malattia incurabile tutto l’impegno possibile e tutti gli interventi degli specialisti che si adoperino per risolvere l’esito di tale patologia, sono sicuramente limitati e vincolati dalle leggi della medicina, e non solo, che ne determinano la inevitabile progressione.

Mi ricordo questo proposito che un giorno dissi a mio marito che stava male Vorrei poter fare di più per te e lui mi ha risposto ”tu vivi per me cosa puoi fare di più?”
Bisogna stare attenti a questo tipo di problema perché viene rafforzato dal senso di colpa e il senso di colpa sembra non avere una causa apparente… sembra esistere indipendentemente dagli accadimenti reali: è un'ombra interna che ogni tanto fa capolino.

Siate indulgenti con voi stessi e soprattutto in questo momento che ne avete così bisogno ammettete i vostri limiti e perdonatevi. 
Non ascoltate le persone che credono di comprendere ogni cosa ma che in realtà non comprendono nulla. 

Probabilmente se non riusciamo a gestire i nostri sensi di colpa veniamo invasi dalla frustrazione, facendoci credere che avremmo potuto fare di più e meglio per la persona amata, o che le strutture preposte alla cura possano aver avuto qualche carenza: tutto diventa estremamente doloroso. Cosa ne pensa?
Può darsi che sia vero. 
Soprattutto durante una lunga malattia gli attori in scena sono tanti: le persone che vi danno il cambio, gli specialisti, i medici, le strutture. Tutti sicuramente avrebbero potuto fare di più ma, come ben sappiamo, in qualsiasi struttura vi sono grandi lacune. E questo vale in tutte le circostanze grandi o piccole della vita di ognuno di noi. Ciò che rende inaccettabili queste carenze è l’ineluttabilità della morte che non concede la possibilità di rimediare.
 
Molti si dedicano al volontariato per ovviare a queste sensazioni dolorose nate e cresciute da sensi di colpa, offrendo a degli sconosciuti un conforto che credono di non aver donato a sufficienza al loro caro.

La scelta di fare volontariato appare così una naturale compensazione al senso di frustrazione che proviamo: normalmente rapportarsi amorevolmente con chi ne ha veramente bisogno serve per consolarci e farci stare sicuramente meglio.


Forse potrebbe nascere il dubbio di non essere stati all’altezza della relazione?
una parte consistente di questo dolore dipende dal senso di solitudine o peggio di abbandono. Se si vive il lutto come una punizione se ne cercano le ragioni. 

Si era abituati a vivere in un universo formato unicamente da due persone, improvvisamente la parte importante più di se stessi non c'è più e noi ci sentiamo dimezzati come se una Katana ci avesse tagliati in due.

E' molto diverso l'universo delle persone in coppia dall'universo delle persone da sole e quando: se si rimane soli questo universo va compreso, ripartendo da zero.
 
Un altro grave problema è riconoscere le persone che ci vogliono veramente bene da quelle che ci abbandonano o, peggio, ci attaccano in modo spietato come fanno i corvi intorno ad un animale ferito.

Dopo questa intervista la Signora Danila Moll ci confessa che il proprio sogno nel cassetto è quello di realizzare un libro che possa essere d’aiuto a tutte quelle persone che hanno perso il proprio marito. La sua dolorosa esperienza ha determinato lo sviluppo di una forza interiore che, grazie a vere e proprie strategie, ha reso la propria vita accettabile e propositiva.
L’obiettivo del suo Progetto è quello di aiutare coloro che si trovino in seria difficoltà, suggerendo molte soluzioni atte a riempire quel senso di vuoto incolmabile che caratterizza la dolorosa esperienza del lutto.
Ovviamente ci auguriamo di trovare presto nelle librerie il frutto del suo lavoro, un libro che potrebbe essere una autentica testimonianza utile a molti lettori.

 

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Articolo pubblicato il 26/06/2023